SQUAW VALLEY 1960, I GIOCHI (QUASI) SENZA IMPIANTI

11 Settembre 2025

Quando, nel 1955, avvenne la votazione per eleggere la località che avrebbe ospitato i Giochi del 1960, Squaw Valley, territorio californiano sulle pendici della Sierra Nevada, non esisteva o quasi. In loco c’era solo un piccolo albergo di proprietà di tale Alexander Cushing, uno pseudo imprenditore edilizio dalle grandi ambizioni. Fu lui a girare per le varie assise e a furia di pacche sulle spalle riuscì a far assegnare agli Usa le Olimpiadi, battendo addirittura Innsbruck, che avrebbe voluto iscrivere il proprio nome nella storia subito dopo Cortina.
Quando gli atleti (circa duecento in meno che a Cortina) arrivarono nei paraggi trovarono una situazione desolante: pochissimi impianti, molti meno di quelli necessari, zero possibilità di alloggio tant’è che la maggior parte dovette sistemarsi a Lake Tahoe.
Il grande scandalo fu la mancata costruzione della pista da bob, pur preventivata. Quando Cushing fece l’annuncio, dicendo che solo nove nazioni erano interessate a queste gare contro le 30 richieste dai regolamenti internazionali, ci fu un moto di protesta di tutto l’ambiente bobbistico, che decise di organizzare, negli stessi giorni dei Giochi, un campionato mondiale sulla pista olimpica di Cortina. Fatto sta, che il nostro Eugenio Monti, da leader della disciplina, dovette aspettare ancora per raggiungere l’agognato oro, che inseguiva da tempo.
In compenso, debuttò ufficialmente il biathlon che prese il posto della gara per pattuglie militari e tutte le giornate olimpiche furono baciate dal sole. Le coreografie della cerimonia d’apertura furono firmate da Walt Disney, e pur nella loro semplicità ebbero effetto.

Le gare furono di livello e il pubblico partecipò, nonostante la difficoltà nel raggiungere la località. Si ricorda il memorabile testa a testa fra Finlandia e Norvegia nella 4 x 10 km maschile di fondo che terminò a vantaggio dei finnici per soli 8 decimi, grazie allo spunto finale del grande Veikko Hakulinen. L’Italia fu ancora una volta quinta, grazie a Giulio De Florian, Giuseppe Steiner, Pompeo Fattor e Marcello De Dorigo.
Per l’Italia ci fu poco, a parte il bronzo nel gigante di Giuliana Chenal Minuzzo, in quegli anni la migliore azzurra, già madre di due bambine, che – dopo lunghe discussioni – ebbe una baby sitter per i momenti in cui doveva assentarsi per gli impegni sportivi.
Fra gli altri azzurri, da ricordare il quinto posto di Bruno Alberti nel gigante e il sesto nella discesa, mentre Paride Milianti fu ottavo sia nello slalom che nel gigante. Oltre alla Minuzzo, si distinsero fra le donne: Carla Marchelli, quinta nel gigante, Pia Riva e Jerta Schir, quarta e quinta nella discesa.
Il francese Jean Vuarnet vinse la discesa grazie alla sua posizione a uovo, poi adottata da tutti gli atleti. La sua carriera di atleta finì presto, ma lo ritroveremo alle dipendenze della Federazione italiana ai primordi della costruzione della Valanga Azzurra.

Per la prima volta gli Usa vinsero l’oro nell’hockey e il Cio tirò un sospiro di sollievo su quell’edizione “anomala” del percorso olimpico.

SQUAW VALLEY 1960, I GIOCHI (QUASI) SENZA IMPIANTI

11 Settembre 2025

Quando, nel 1955, avvenne la votazione per eleggere la località che avrebbe ospitato i Giochi del 1960, Squaw Valley, territorio californiano sulle pendici della Sierra Nevada, non esisteva o quasi. In loco c’era solo un piccolo albergo di proprietà di tale Alexander Cushing, uno pseudo imprenditore edilizio dalle grandi ambizioni. Fu lui a girare per le varie assise e a furia di pacche sulle spalle riuscì a far assegnare agli Usa le Olimpiadi, battendo addirittura Innsbruck, che avrebbe voluto iscrivere il proprio nome nella storia subito dopo Cortina.
Quando gli atleti (circa duecento in meno che a Cortina) arrivarono nei paraggi trovarono una situazione desolante: pochissimi impianti, molti meno di quelli necessari, zero possibilità di alloggio tant’è che la maggior parte dovette sistemarsi a Lake Tahoe.
Il grande scandalo fu la mancata costruzione della pista da bob, pur preventivata. Quando Cushing fece l’annuncio, dicendo che solo nove nazioni erano interessate a queste gare contro le 30 richieste dai regolamenti internazionali, ci fu un moto di protesta di tutto l’ambiente bobbistico, che decise di organizzare, negli stessi giorni dei Giochi, un campionato mondiale sulla pista olimpica di Cortina. Fatto sta, che il nostro Eugenio Monti, da leader della disciplina, dovette aspettare ancora per raggiungere l’agognato oro, che inseguiva da tempo.
In compenso, debuttò ufficialmente il biathlon che prese il posto della gara per pattuglie militari e tutte le giornate olimpiche furono baciate dal sole. Le coreografie della cerimonia d’apertura furono firmate da Walt Disney, e pur nella loro semplicità ebbero effetto.

Le gare furono di livello e il pubblico partecipò, nonostante la difficoltà nel raggiungere la località. Si ricorda il memorabile testa a testa fra Finlandia e Norvegia nella 4 x 10 km maschile di fondo che terminò a vantaggio dei finnici per soli 8 decimi, grazie allo spunto finale del grande Veikko Hakulinen. L’Italia fu ancora una volta quinta, grazie a Giulio De Florian, Giuseppe Steiner, Pompeo Fattor e Marcello De Dorigo.
Per l’Italia ci fu poco, a parte il bronzo nel gigante di Giuliana Chenal Minuzzo, in quegli anni la migliore azzurra, già madre di due bambine, che – dopo lunghe discussioni – ebbe una baby sitter per i momenti in cui doveva assentarsi per gli impegni sportivi.
Fra gli altri azzurri, da ricordare il quinto posto di Bruno Alberti nel gigante e il sesto nella discesa, mentre Paride Milianti fu ottavo sia nello slalom che nel gigante. Oltre alla Minuzzo, si distinsero fra le donne: Carla Marchelli, quinta nel gigante, Pia Riva e Jerta Schir, quarta e quinta nella discesa.
Il francese Jean Vuarnet vinse la discesa grazie alla sua posizione a uovo, poi adottata da tutti gli atleti. La sua carriera di atleta finì presto, ma lo ritroveremo alle dipendenze della Federazione italiana ai primordi della costruzione della Valanga Azzurra.

Per la prima volta gli Usa vinsero l’oro nell’hockey e il Cio tirò un sospiro di sollievo su quell’edizione “anomala” del percorso olimpico.